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Frasi viaggio: mare, bianca, cielo, mura, vista, fiume, costa


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Talvolta una vacanza è davvero indimenticabile quando non si limita ad una visita meccanica delle attrazioni di un certo luogo, ma quando riesce a coniugare il viaggio con la cultura senza pesantezza, la qual cosa può avvenire anche semplicemente grazie a frasi di libri di pubblico dominio, classici, nelle quali figurino alcuni termini chiave di una possibile visita.

Leggi gli articoli a tema per le tue vacanze:

Marocco di Edmondo De Amicis:

"La città non ha dentro altro di notevole che una piazza di mercato circondata da piccoli portici sorretti da colonnine di pietra; ma vista dal porto, tutta bianca sul verde cupo della collina, stretta in una cerchia di alte mura merlate d’un fosco color calcare, riflessa dalle acque azzurre del fiume, sotto quel cielo limpido, presenta un aspetto grazioso, e malgrado la vivezza dei colori, quasi malinconico, come se facesse pietà il veder quella gentile città così sola e silenziosa su quella costa barbaresca, dinanzi a quel porto deserto, in faccia a quel mare immenso"

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Storia di un'anima di Ambrogio Bazzero:

"Io vorrei dirvi il giuoco dei riflessi del cielo e del mare, le bolle delle aspergini tranquille, gli scherzi dei vermi marini sulla costa, le gradazioni"

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Decameron di Giovanni Boccaccio:

"Ma pure, come valenti uomini, ogni arte e ogni forza operando, essendo da infinito mare combattuti, due dì si sostennero; e surgendo già dalla tempesta cominciata la terza notte e quella non cessando ma crescendo tuttafiata, non sappiendo essi dove si fossero né potendolo per estimazion marineresca comprendere né per vista, per ciò che obscurissimo di nuvoli e di buia notte era il cielo, essendo essi non guari sopra Maiolica, sentirono la nave sdruscire"

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Storia di un'anima di Ambrogio Bazzero:

"* * * O Genova! o Genova! Chi può mai descrivere i tuoi palazzi di via Balbi, della Nunziata, della Nuova o della Nuovissima, e le casette a otto piani nelle strettucce che sembrano scolatoi al mare? Chi ti dirà il nobile effluvio dei cedri e il plebeo fetore del baccalà; la splendida pace dei pensili orti e l'arrabattarsi lucroso nel porto: la vita opulentemente stanca nelle sale d'ozio e la insaziabile voluttà della marmaglia saettata dal sole: la bianca melanconia degli atri, degli scaloni, delle corti solitarie e l'immensa gazzarra delle mille navi? Chi dirà, in qual reggia, in qual sala dipinta da Guercino, Van Dik e Bubens, cento cavalieri e quaranta dame furono convitati magnificentissimamente, serviti con piatti d'argento e d'oro, e i piatti ammucchiati a formare tante colonne fino alla volta: e chi descriverà la cena del pollivendolo, il tozzo rosicchiato, sotto l'incarco d'una gabbiona pidocchiosa e insudiciata? Ma da che parte si deve incominciare? —Venturi non immemor ævi—Sibi et Urbi—è scritto sui potenti fastigi: Lodovico XII diceva ai patrizi di San Giorgio: «Voi siete meglio alloggiati di me:» e lo dicevano Carlo V e Filippo II"

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Marocco di Edmondo De Amicis:

"Che bellezza di veduta! Giù nel fondo la città, una piccola macchia bianca della forma d’un otto, circondata di mura nere, di cimiteri, di giardini, di case di santo, di torri, e tutta la conca verdissima che la contiene; a sinistra una lunga striscia luccicante, il Sebù; a destra, la grande pianura di Fez, rigata d’argento dal Fiume delle perle e dal Fiume della fontana azzurra; a mezzogiorno, le cime azzurrine della gran catena dell’Atlante; a settentrione, le vette delle montagne del Rif; ad oriente, la vasta pianura ondulata dove è la fortezza di Teza, che chiude il passo fra il bacino del Sebù e il bacino della Muluia; sotto di noi, grandi ondulazioni di terreno, gialle di grano e d’orzo, segnate da innumerevoli sentieri, percorse da lunghissimi filari di aloè giganteschi; una grandezza di linee, una magnificenza di verde, una limpidezza di cielo, un silenzio, una quiete che beava l’anima"

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Marocco di Edmondo De Amicis:

"Ah! se m’avessero visto, in quel breve tragitto, l’Ussi e il Biseo! Quanto dovevo esser pittoresco io, rappresentante d’Italia in groppa a una mula, con una ciarpa bianca attorcigliata intorno al capo, seguito dal mio stato maggiore composto d’un cuoco in maniche di camicia, di due marinai armati di bastone e d’un moro stracciato! O arte italiana, quanto hai perduto! Arzilla, Zilia dei Cartaginesi, Julia Traducta dei Romani, passata dalle mani di questi in potere dei Goti, saccheggiata dagl’Inglesi verso la metà del decimo secolo, rimasta per trent’anni un mucchio di sassi, poi rifabbricata da Abd-er-Rhaman ben Alì califfo di Cordova, posseduta dai Portoghesi e ripresa dai Marocchini, non è più che una cittaduzza di poco più di mille abitanti tra mori ed ebrei; circondata, dalla parte di terra e dalla parte di mare, da alte mura merlate, che cadono in rovina; bianca e quieta come un chiostro, e improntata, come tutte le altre piccole città maomettane, di quella ridente malinconia, che fa pensare al sorriso d’un moribondo, il quale goda di sentirsi mancare la vita"

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